LONDRA – La Gran Bretagna è la seconda potenza sportiva del mondo. Questo hanno decretato le Olimpiadi di Rio de Janeiro, dove solo gli atleti statunitensi hanno fatto meglio di quelli di Sua Maestà Elisabetta II. Ad Atlanta, nel 1996, l’Union Jack era stata issata solo una volta con un umiliante 36° posto nel medagliere. In Brasile, invece, il “God Save The Queen” è risuonato ben 27 volta, una in più dell’inno nazionale cinese. Una crescita talmente straordinaria da aver fatto storcere la bocca a parecchi avversari, specialmente per gli incredibili risultati ottenuti nel ciclismo. Le accuse più o meno velate di doping non sono mancate, ma i britannici le hanno sempre respinte, attribuendo i loro successi a una migliore pianificazione e a migliori investimenti.
SOSPETTI – Certo è che sospetti, dubbi e speculazioni hanno continuato a circolare. E da semplici sussurri rischiano di trasformarsi in uragano ora che il gruppo di hacker che ha già fatto circolare documenti riservati dell’Agenzia mondiale antidoping (Wada) riguardanti sportivi statunitensi, si prepara a fare lo stesso con quelli del Regno Unito. Nel mirino 53 atleti di varie discipline che, nel corso della loro carriera, abbiano fatto ricordo a sostanze proibite grazie a esenzioni per motivi terapeutici. Tra questi, i più famosi sono il mezzofondista Mo Farah, che ha difeso con successo a Rio gli ori conquistati a Londra nei 5 mila e 1o mila metri, e i ciclisti Chris Froome e Bradley Wiggins.

CADUTA – Farah era già finito sotto accusa nel 2015, quando un documentario della BBC aveva messo in dubbio i metodi del suo allenatore Alberto Salazar. Il campionissimo di origine somala aveva sostenuto all’epoca di avere fatto ricorso a un’esenzione solo una volta, nel 2014, dopo uno svenimento avvenuto nella sua casa di Park City, nello Utah, in seguito a un allenamento in altura. Temendo un infarto, i medici gli diedero della morfina, che è una sostanza proibita. Dunque, nulla di nuovo per quanto riguarda Farah. Ma, come si sa, la calunnia è un venticello ed è facile pensare che lo scopo degli hacker, che si fanno chiamare Fancy Bear e che tutti sospettano essere russi, fosse proprio quello di spargere dubbi e veleni. Una forma di vendetta per le accuse di doping di stato che hanno portato al bando dell’atletica russa dai Giochi di Rio.
AMICIZIE – Farah, comunque, dice di non avere nulla da nascondere. Almeno in questo caso. È anche vero, però, che non tutto nella sua carriera appare limpido come acqua di fonte. Innanzitutto, è ancora in corso la collaborazione con Salazar, nonostante ci sia un’inchiesta dell’Agenzia antidoping statunitense su quest’ultimo. In più, troppo spesso Farah è stato visto in compagnia di Jama Aden, un allenatore somalo che è stato arrestato in Spagna all’inizio di quest’anno proprio per vicende di doping. La Federazione britannica di atletica ha sempre sostenuto che i due si conoscano appena. E lo stesso Farah ha dichiarato recentemente di considerarlo solo una conoscenza occasionale. Peccato che nella sua autobiografia, uscita nel 2o14, quando dunque Aden non era ancora finito nella polvere, l’atleta britannico avesse scritto il contrario: «Come me, Jama è nato in Somalia e ci conosciamo da anni».
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