LONDRA – Ogni crisi ha il suo muro. Donald Trump, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, vuole costruirne uno al confine col Messico (per sovrappiù a spese dei messicani), per rendere sempre più complicato il passaggio negli Usa dei migranti latino americani. E di un altro muro è cominciato la costruzione nei pressi del porto di Calais, in Francia, per rendere sempre più difficile il passaggio nel Regno Unito dei disperati accampati in condizioni inumane nella “Giungla”, il campo profughi sorto nei pressi della cittadina d’Oltralpe in seguito all’esplosione della crisi umanitaria in Siria e che attualmente ospita 10 mila persone, di cui almeno 1000 bambini non accompagnati.
PIANO – A finanziare i lavori, con un contributo di 1,9 milioni di sterline, è il governo di Sua Maestà britannica, nell’ambito di un più vasto piano da 17 milioni di concerto col governo francese per incrementare le misure di sicurezza a Calais e fare in modo che i rifugiati della Giungla non tentino più di salire sui camion diretti in Inghilterra. Alto 4 metri, lungo un chilometro e fatto con materiali anti-arrampicata, il muro dovrebbe impedire l’occupazione ormai quasi quotidiana dell’ultimo tratto di strada che porta agli imbarchi.
PRO E CONTRO – Una soluzione caldeggiata dalle autorità locali, ma fortemente criticata dalle organizzazioni umanitarie, secondo le quali, lungi dallo scoraggiare coloro che vogliono raggiungere la Gran Bretagna, il muro renderà solamente più pericolosi i tentativi. «Molto semplicemente, più gente morirà cercando di entrare nel Regno Unito e più gente si metterà nelle mani dei trafficanti» dice Steve Symond di Amnesty International.
VITTIME – Nell’ultimo anno, circa 84 mila persone hanno provato a effettuare la pericolosa traversata da porti come Calais. I morti sono stati 13, di cui 3 bambini. L’ultima vittima un 14enne afghano, caduto da un camion. Una storia resa ancora più tragica dal fatto che il ragazzo in questione aveva parenti da queste parti e, dunque, il diritto di entrare in Inghilterra, ma era frustrato dai ritardi delle autorità britanniche nella concessione dei documenti necessari per il viaggio.

OSTACOLI – Difficile che il Primo Ministro britannico raccolga l’invito. La May da quell’orecchio proprio non ci sente. Tanto per chiarire la sua posizione, la May ha affermato che è meglio aiutare i rifugiati nei loro paesi d’origine piuttosto che risistemarne una piccola parte in Gran Bretagna. La May insisterà poi sulla necessità di una più efficace politica internazionale pe1r il controllo dell’immigrazione e per migliorare i sistemi per separare i rifugiati per motivi umanitari dai migranti per motivi economici. Non solo, perché sono noti i tentativi da parte britannica, partiti fra l’altro quando la May era ancora ministro dell’Interno nel governo presieduto da David Cameron, di rendere sempre più difficile ottenere lo status di rifugiato.
CRITICHE – La posizione del governo è stata duramente criticata dall’opposizione laburista e, ancora di più, dalle organizzazioni umanitarie. «Queste proposte indicano che l’intento del PM è di rafforzare un insostenibile status quo – dice ad esempio Maurice Wren, capo del Refugee Council – bloccando le vie di fuga e lasciando che siano i paesi poveri a prendersi cura del 90 per cento dei rifugiati nel mondo». Si sono fatte sentire anche le autorità religiose, con 200 leader di varie fedi, tra cui l’ex arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, che hanno lanciato un appello pubblico in cui si attaccano «la lentezza, la miopia e la strettezza di vedute» dell’esecutivo.