LONDRA – Il referendum sull’addio all’Unione Europea è stato vinto. Che cosa fare dopo, nessuno tra i fautori dell’indipendenza del Regno Unito sembra saperlo. Alcune verità, però, cominciano a emergere. Innanzitutto, i negoziati per la Brexit potrebbero costare milioni e milioni di sterline ai contribuenti britannici. In secondo luogo, coloro che hanno votato per l’uscita dall’Unione Europea sperando in un restringimento dei poteri dello stato farebbero meglio a prepararsi per una cocente delusione. Il governo, infine, deve sbrigarsi a presentare un piano preciso per i negoziati con Bruxelles se non vuole che siano altri a dettare i termini delle trattative.
FRAMMENTAZIONE – Il fatto che tre ministeri si stiano occupando della questione – il Foreign Office con Boris Johnson, il Commercio Estero con Liam Fox e il Ministero per la Brexit con David Davis – «rischia di creare frammentazione e incoerenza» scrive il prestigioso Institute for Government in un rapporto pubblicato oggi. «La mancanza di chiarezza sui ruoli e e le responsabilità dei vari dipartimenti – prosegue il rapporto – ha causato distrazione e ritardato i lavori. C’è un gigantesco vuoto nella strategia governativa per i negoziati. Come minimo, Theresa May deve chiarire come e quando il suo governo intende presentarsi al tavolo delle trattative. In assenza di una strategia chiara, indiscrezioni e commenti improvvisati stanno riempiendo il vuoto».
INCERTEZZA – Al momento, si legge ancora nel rapporto, il mondo esterno sta cercando di capire la posizione del governo dalle dichiarazioni dei singoli ministri, spesso non concordate con la May, col risultato di creare incertezza, frustrare quelli che vogliono un’uscita veloce e rendere perplessi quelli con cui si deve negoziare e lasciando incerti quelli che vogliono fare affari con UK.
PIANO – La May, però, sembra di opinione contraria. Finora, si è affidata a uno slogan, “Brexit Means Brexit” (“Brexit vuol dire Brexit”), che significa tutto e niente. Da quel pochissimo che è emerso nei tre mesi passati dal referendum, l’obiettivo del governo sembra quello di mantenere l’accesso al mercato unico ottenendo al contempo maggior controllo sull’immigrazione. Che è esattamente quanto l’Europa non vuole concedere.
CONGRESSO – Il primo ministro vuole che questa strategia del silenzio sia osservata anche durante il congresso del partito conservatore, in programma a Birmingham la settimana prossima, limitando le discussioni sulla Brexit alla sola prima giornata. «Il silenzio non è una strategia – dicono però quelli dell’Institute for Government -. Il primo ministro deve chiarire rapidamente come e quando il governo intendo prendere decisioni sulla Brexit».
ZERO IDEE – Un’opinione condivisa dagli ex ministri conservatori Nicky Morgan e Ken Clarke. «C’è stata una mancanza di strategia da parte del governo – dice la prima – e c’è il rischio che al momento dei negoziati la Gran Bretagna si trovi nella scomoda posizione in cui sono gli altri a dettare i termini». Ancora più drastico Clarke: «Nel governo nessuno ha la minima idea di quello che bisogna fare sul fronte Brexit».
AVVERTIMENTO – Il tutto mentre dall’Italia arriva il monito di Matteo Renzi: «(In caso di Brexit) sarà impossibile dare ai cittadini britannici più diritti di quelli concessi ai cittadini extracomunitari» dice il nostro Presidente del Consiglio, che è solo l’ultimo di una lunga serie di governanti europei ad avvertire che nessun trattamento di favore sarà riservato alla Gran Bretagna.