LONDRA – Gli avversari della Brexit avevano avvertito da subito: lasciare l’Unione Europea mette a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro. I sostenitori dell’uscita avevano invece bollato questi avvertimenti come un mero espediente per spaventare gli elettori. Ora sta emergendo che i primi avevano ragione e i secondi torto.
ANNUNCIO – La Nissan ha infatti annunciato che il suo stabilimento di Sunderland, dove vengono prodotte circa 500 mila vetture l’anno, è a forte rischio ridimensionamento. Se dovesse passare la linea dei fautori della cosiddetta “hard Brexit”, la Gran Bretagna smetterebbe di far parte del mercato unico e, di conseguenza, molto probabilmente la UE imporrebbe tariffe doganali sulle esportazioni del Regno Unito. Per la Nissan, così come per le altre industrie automobilistiche, soprattutto straniere, che hanno stabilimenti in UK, sarebbe un disastro.
ACCORDO – «Se dobbiamo fare investimenti prima che i negoziati sulla Brexit siano conclusi siano conclusi – lancia l’allarme Carlos Ghosn, presidente esecutivo della casa giapponese – allora dobbiamo trovare un accordo col governo britannico. Se dovessero essere innalzate barriera doganali sulle auto, dovremmo avere la certezza che ci sarà qualche tipo di compensazione». In pratica, avverte Ghosn, se la UE, com’è probabile, dovesse imporre dazi sui prodotti britannici, noi non investiremmo più a meno che lo stato non si impegni ad aiutarci economicamente.
ALLARME – Un allarme rilanciato da altre case automobilistiche. «L’85% per centro della produzione dei nostri stabilimenti britannici – afferma ad esempio Didier Leroy, vice-presidente esecutivo di Toyota – è esportato nei paesi della UE. Se su questo 85% dovessimo pagare tariffe doganali, diventerebbe davvero dura». Per Bernhard Maier, dirigente della Škoda, c’è anche un altro problema, vale a dire l’apparente mancanza di una strategia da parte del governo: «Sarebbe molto più utile se ci fossero decisioni concrete cui adattarsi invece che questa situazione di incertezza».
RISCHIO – Rincara la dose la Society of Motor Manufacturers and Traders, l’associazione che rappresenta costruttori e rivenditori di automobili, secondo cui l’inazione del governo sta mettendo a rischio oltre 800 mila posti di lavoro tra stabilimenti e indotto. Per ironia della sorte, molti di questi lavori a rischio sono proprio in zone che, come Sunderland, hanno votato in maggioranza per lasciare l’Unione Europea.
TREND – Gli allarmi dell’industria automobilistica arrivano forse nel giorno sbagliato per convincere i sostenitori dell’hard Brexit ad andarci coi piedi di piombo. Proprio oggi sono infatti usciti dati incoraggianti sull’economia. O, almeno, dati che smentiscono in parte il pessimismo con cui il risultato del referendum del 23 giugno scorso era stato accolto dagli ambienti finanziari. Il settore dei servizi a luglio è cresciuto dello 0,4% invece del previsto 0,1. Positivi anche i dati sul PIL (0,7% contro lo 0,6% previsto) e sul deficit (28 miliardi di sterline nel secondo trimestre dell’anno contro i 30,5 previsti dalla City). Insomma, il voto sulla Brexit non ha mandato l’economia in recessione, come molti temevano. Ma bisogna considerare che la Gran Bretagna è ancora membro a tutti gli effetti della UE e che i negoziati per l’uscita non sono ancora cominciati.